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La bilancia della Cassazione sembra pendere sempre di più verso l'Amministrazione Finanziaria

postato da paolo.soro [23/03/2009 18:56]

Molti di noi hanno notato, ultimamente, come il generale orientamento scaturente dalle pronunce della Corte di Cassazione paia, sempre più spesso, favorire l'Amministrazione Finanziaria ai danni del contribuente. Peraltro, abbiamo anche di sicuro tutti pensato subito che, probabilmente, la nostra era una visione fuorviante dettata dal ruolo che ricopriamo in qualità di professionisti. Ora, però, preso atto dell'articolo apparso in prima pagina nel quotidiano "Italia Oggi Sette" e della pubblicazione del conseguente commento pubblicato dal presidente del Consiglio Nazionale Siciliotti, credo che l'argomenti meriti, quanto meno, una più attenta riflessione.

Di seguito, mi limito a riportare l'interessante articolo citato, lasciando a ciascuno le proprie valutazioni del caso.

Quelli che volessero conoscere il pensiero del presidente Siciliotti, possono collegarsi al seguente linknel portale del Consiglio Nazionale:http://www.cndcec.it/PORTAL/Documenti/3465_cccyajncjm.pdf.

"La bandiera della lotta all’evasione senza se e senza ma, dopo Vincenzo Visco, sembra dalla Corte di cassazione. fare strame del diritto tributario, delle regole dell’economia, del semplice L’esempio più clamoroso sentenze del 2008 contro sono sempre più frequenti le interpretazioni forzate pro-fisco: la Cassazione tributaria ha negli ultimi anni quasi sempre preso le parti dell’erario, travolgendo nella sua foga anche il principio del rispetto della forma dell’atto, uno dei cardini della riforma tributaria degli anni ’70. Il risultato di questi interventi a gamba tesa è spesso la distruzione di ogni certezza nei rapporti giuridici e commerciali. Con le sentenze sull’abuso di diritto, in particolare, la Cassazione ha infatti definito una meta-norma ricavabile dal principio di capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione), secondo la quale «il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili». Nel caso concreto la Suprema corte è riuscita a disinnescare azioni chiaramente elusive, fissando però un principio che finisce per sottoporre le scelte aziendali al sindacato di «economicità» degli organi accertatori. Come se il fisco fosse un supervisore in grado di discernere il grano dal loglio pur in assenza di esplicite norme che impongono o vietano determinati comportamenti. Addio al positivismo giuridico, al rispetto delle forme, alla libertà imprenditoriale. Di fatto ora i responsabili aziendali si trovano a operare con una spada di Damocle appesa sopra la testa perché, in caso di verifica, Guardia di finanza o Agenzia delle entrate possono farsi un baffo della regolarità delle scritture contabili, possono andare a cercare prove di evasione anche nei cestini e infine se tra i vantaggi di una operazione c’è quello della riduzione del carico tributario possono far valere l’abuso di diritto: eppure non è la stessa cosa pagare imposte per 100 o 200, in regime di libera concorrenza. È ovvio che per un imprenditore la voce fisco sta dalla parte dei costi, che devono essere minimizzati. Ed è ovvio che l’imprevedibilità di un sindacato sull’esistenza di valide ragioni economiche finisce per deprimere la propensione a investire. Sostituendosi al legislatore i giudici stanno scardinando la certezza del diritto e stanno mettendo nelle mani degli accertatori armi non convenzionali, in grado di distruggere la prevedibilità della pretesa tributaria. Un imbarbarimento che lascia una sola via di fuga: il sommerso! Infatti, sono sempre più frequenti le verifiche che si concludono con l’identificazione di una o più operazioni considerate elusive. In quanto tali non opponibili al fisco. Proprio per questo motivo ItaliaOggi ha deciso di aprire uno spazio di discussione dedicato all’opera di distruzione del diritto tributario (e di sovrapposizione all’attività del legislatore) della giurisprudenza di legittimità."